COMMENTI | IL PRESIDENTE DI FIVA IN AUDIZIONE AL SENATO: «IL COVID RISCHIA DI CANCELLARE UN QUARTO DEI 177MILA AMBULANTI CHE OPERANO IN ITALIA»

Il presidente nazionale di Fiva Confcommercio, Giacomo Errico, ha portato la situazione del settore degli ambulanti all’attenzione della commissione permanete Attività produttive, Commercio e Turismo del Sentato.

Di seguito una sintesi dell’intervento nel corso dell’audizione dello scorso 10 novembre.

L’EMERGENZA CORONAVIRUS

L’emergenza in atto nel Paese, a seguito dell’epidemia COVID-19, rende certamente necessari gli interventi di salvaguardia della salute pubblica che si stanno susseguendo ormai a ritmo giornaliero. Al Paese e alle imprese è stato chiesto uno sforzo eccezionale e non saranno certo i commercianti su aree pubbliche a sottrarsi a un elementare dovere che li chiama in causa, prima ancora che come imprese, quali cittadini di uno Stato moderno.  Tuttavia, nemmeno è possibile ignorare le pesanti ricadute che, sul piano dell’intrapresa economica, l’emergenza ha prodotto e che, presumibilmente, provocherà nei mesi a venire.

Secondo le stime della Federazione, rispetto al volume di affari registrato nel 2019, le attività di commercio su aree pubbliche hanno perso, dal 23 febbraio ad oggi, dai 4,2 ai 5,6 miliardi di volume d’affari (con una contrazione percentuale negativa che oscilla dal 23% al 28%) e si avviano a perderne ancora almeno un altro 1,85 se l’attività non riprende in tempi brevi, tenuto conto che, tradizionalmente, il mese di dicembre rappresenta una fetta importante di fatturato.

In termini merceologia i dati di contrazione più evidente riguardano il comparto dell’abbigliamento e del vestiario, comprese le calzature che registra perdite dal 24,2% al 32,4% anche a causa della perdita del fattore di stagionalità primaverile che da solo vale circa un terzo dell’intero fatturato annuo e che quest’anno è venuto a mancare. L’altro comparto che accusa perdite più evidenti è quello della ristorazione mobile dal 22,4% al 38,8% che svolge la sua attività soprattutto nelle fiere.

Sono soprattutto gli operatori delle fiere, delle sagre e degli eventi – sportivi o musicali che siano – ad aver subito i danni maggiori. Di fatto queste attività, stimabili nel 10/15% sul totale delle imprese attive, svolgono prevalentemente l’attività su fiere e sagre e non hanno concessioni di posteggio su mercati. E sono ferme – per decreti o per ordinanze autonome delle Autorità Locali – sostanzialmente dal mese di febbraio, con una perdita economica stimabile fra il 60% e l’80% di fatturato rispetto al 2019. Sono anche, questi operatori, quelli che hanno ricevuto meno ristori rispetto al resto del settore.

In sostanza tutti i segmenti del commercio su aree pubbliche hanno sofferto – e stanno ancora soffrendo – la crisi, senza godere di quelle attenzioni riservate ad altri comparti.

L’impatto negativo delle conseguenze dell’emergenza è stimato nella perdita di circa un quarto delle imprese che, complessivamente, non sono fortemente strutturate sul piano economico per sopravvivere oltre un certo limite fisiologico.

PROSPETTIVE DI RILANCIO  

Non si tratta di fare una lista della spesa quanto di introdurre un insieme di azioni coordinate fra loro che, in qualche modo, contribuiscano a far superare l’attuale momento di difficoltà e a creare le condizioni utili al rilancio del settore del commercio su aree pubbliche.

Misure contingenti

Sul fronte della liquidità e dei ristori appare necessario:

– prevedere gli opportuni contributi a fondo perduto per gli operatori fieristi e degli eventi sportivi e musicali attraverso una “una tantum” significativa ovvero attraverso un fondo da far gestire alle Regioni, che meglio conoscono la realtà del territorio, da corrispondersi in base al numero degli eventi non svolti ovvero in proporzione al calo di fatturato;

– prevedere lo stesso contributo per tutti gli operatori dei mercati interessati dalle ulteriori restrizioni del DPCM 3 novembre;

– esonerare dal pagamento del suolo pubblico anche il commercio su aree pubbliche, sia per l’occupazione temporanea sia per quella permanente, e sia in regime di Tosap che di Cosap, fino al 31 dicembre 2020;

– sospensione totale della tassazione locale e dal versamento dei contributi previdenziali per il commercio su aree pubbliche anche per il 2021 (un anno bianco) al fine di ricostituire la liquidità necessaria alle imprese;

– rinvio della certificazione telematica dei corrispettivi e della connessa lotteria degli scontrini al 1 gennaio 2022.

– sospensione dell’applicazione degli studi di settore per l’anno di imposta 2020 o, quantomeno, revisione degli ISA in direzione di una maggiore tollerabilità.

Sul piano della normativa di carattere restrittivo si chiede al Parlamento, pure in considerazione della non competenza istituzionale, di orientare il Governo circa la sproporzionalità di talune norme. Non si comprende infatti la ratio che prevede la vendita di prodotti di prima necessità (allegato 23 del DPCM 3 novembre) anche in forma ambulante meno che sui mercati coperti o scoperti che siano.

Misure strutturali

Crediamo sia utile provvedere all’innalzamento – per le attività di commercio su aree pubbliche – del limite per l’applicazione del regime forfetario, stabilito dalla legge finanziaria 2019, fino a € 150.000. Si otterrebbe una maggiore semplificazione e un minor carico burocratico per le imprese.

Sono anche necessarie maggiori facilitazioni per l’accesso al credito di garanzia da parte delle piccole imprese di commercio su aree pubbliche e per l’incentivazione all’esodo (in analogia con i lavori usuranti).

Sarebbe altresì di estrema utilità la costituzione di un fondo speciale che operi a favore delle imprese, quantomeno per il sostegno al rinnovamento del parco mezzi in coincidenza dell’introduzione di misure ambientali più restrittive e che concorra ad un miglior decoro urbano dei mercati e dei banchi, soprattutto nei centri storici. Allo stesso fondo potrebbero attingere gli Enti Locali per l’ammodernamento delle aree mercatali e delle reti connesse, anche telematiche.

Infine, pensiamo sia arrivato il tempo per una iniziativa parlamentare di riordino delle norme in materia di commercio su aree pubbliche che colmi le lacune cui si accennava in premessa con un sistema di regole minime certe e valide per ogni realtà territoriale e che definisca con certezza, anche in ossequi al dettato costituzionale, il riparto delle competenze fra Stato e Regioni. Peraltro, detto riordino potrebbe costituire il miglior antidoto per combattere l’abusivismo che non è solo e soltanto quello che appare all’esterno ma è anche, se non soprattutto, quello dovuto alla concorrenza sleale derivante dalla mancata osservanza delle obbligazioni tributarie e fiscali, dalle troppe anomalie regolamentari, dalla mancanza di formazione, dalle troppe persone che utilizzano il settore come una sorta di “mordi e fuggi” non avendone né i titoli amministrativi o camerali, né la predisposizione a investire sul medio/lungo termine. Oppure che utilizzano il settore come possibilità esclusivamente speculativa. Abbiamo bisogno di stabilità e si certezze, soprattutto per invogliare i giovani a rivolgersi verso questa forma di commercio.

CONCLUSIONI

La prima legge di riforma del settore è datata 19 maggio 1976 (la n.398): da allora il commercio su aree pubbliche è cresciuto in termini di struttura e si è profondamente modificato in termini di servizio, rappresentando una parte significativa della distribuzione al dettaglio. Merita quindi una concreta attenzione da parte delle Pubbliche Istituzioni.

Il riacutizzarsi del fenomeno epidemiologico e le recenti misure restrittive adottate con il DPCM 3 novembre nonché la prevedibile, ulteriore, stretta dei giorni a venire contribuiscono a rendere ancora più precaria la situazione del settore (in particolare le fiere, sagre ed eventi), già duramente provato dal precedente lockdown.

Servono quindi politiche e azioni concrete di rilancio urgenti e di sistema. FIVACONFCOMMERCIO non mancherà di dare la propria collaborazione e il proprio sostegno ad ogni iniziativa in tal senso. La ripresa sarà lentissima e ci vorrà del tempo prima che i mercati tornino ad essere i centri di servizio e di aggregazione che erano prima del virus. La flessibilità di cui le nostre imprese sono dotate – e che finora ha costituito una delle nostre caratteristiche più importanti – rischia di costituire una palla al piede per la mancanza di risorse che ne consentano la sopravvivenza oltre un certo limite fisiologico.

Quando chiude una impresa chiude un pezzo di Paese.

I NUMERI

Le imprese attive sono 177.168

Il commercio su aree pubbliche conta, al 30 giugno 2020, 177.168 imprese attive, compresa la ristorazione mobile, (dati Unioncamere), di cui 93.849 di nazionalità extracomunitarie, 80.537imprese italiane, il resto essendo costituito da imprese comunitarie o di nazionalità non classificata. 31.200 imprese sono gestite da donne. Rispetto all’anno di massima espansione (2017) si contano l’8% in meno di imprese attive. Rispetto allo scorso anno il calo è stato del 3,3%. Il settore è caratterizzato da un marcato turn over pari a circa il 17/20% delle imprese. Il numero complessivo degli addetti fra titolari, coadiutori e dipendenti è stimato intorno a 400.000. La gestione aziendale ha caratteri tipici dell’azienda familiare. Il settore rappresenta circa un quinto dell’intera distribuzione al dettaglio.

Primi in Europa

Pur con numeri diversi, evidentemente frutto di classificazioni statistiche non allineate, il commercio su aree pubbliche occupa la prima posizione in Europa, davanti alla Francia, per numero di imprese e numero di addetti ed è secondo, dietro la Francia stessa, per cifra d’affari (cfr. Statistiche strutturali delle imprese, Eurostat, aggiornamento 27 ottobre 2020).

Nei Comuni oltre 15mila abitanti 728 mercati al giorno

Soltanto per dare una idea del complesso di attività svolta, nel settembre 2020, secondo i dati raccolti dall’ufficio studi della Federazione, nei 732 Comuni italiani con popolazione superiore a 15 mila abitanti sono stati censiti 728 mercati a cadenza quotidiana con prevalenza di prodotti alimentari, e 2.111 mercati a cadenza periodica con prevalenza di prodotti non alimentari. Il numero dei posteggi, comprese le postazioni extra mercato assomma a 34.139 a cadenza quotidiana (di cui 4.497 non assegnati) con oltre 640.000 mq di superficie. I posteggi dei mercati ed extra mercato a cadenza periodica assommano a 173.730 (di cui 8.353 non assegnati) per un totale di 5.450.258 mq. di superficie. Il 13,04% dei posteggi quotidiani e il 4,11% dei posteggi periodici sono occupati dai produttori e imprenditori agricoli.